UN DOCUMENTO POLITICO, TEORIA E PRATICA- Parte 1

ANALISI DI FASE- E noi?

palazzi santeIn un momento in cui il reflusso politico di ogni tipo, militante, partecipativo, elettoralistico proprio della nostra epoca si colora di tutte quelle sfumature consolatorie, ingenue e momentanee che il richiamo elettorale porta sempre con sé, ci sembra il momento di riaffermare la nostra scelta, il come, il dove e il perchè.                  L’appuntamento con le urne è alle spalle, e per noi non c’è molto degno di nota. Soltanto, a conferma della nostra tesi, l’affermazione di un movimento “antisistema” a parole, nel vuoto lasciato da quei partitini della “sinistra” istituzionale che, rimasti fuori dal parlamento o dentro con percentuali ridicole, non conoscono autocritica, ma solo livorosa autoperpretrazione.

Crediamo anche di dover ricordare a tutti, come facciamo ogni giorno con noi stessi, ripetendo un mantra che più che consolatorio è una frustrante constatazione, che la rivoluzione ha tempi lunghi.

Non quelli che condensano in due mesi di primarie, firme, liste ed elezioni la partecipazione “attiva” dell’individuo, inutile dirlo. Non quelli dell’insurrezione.

L’analisi approfondita della situazione in cui versa l’organizzazione capitalistico-statuale della società non può a nostro avviso evidentemente condurre a reputare il momento “maturo” per qualsiasi “conflitto generale” fra le classi.                                                           Classi che comunque non si riconoscono più come tali.

Il capitalismo, provocata la “crisi” del 2008, ha dimostrato di essere in grado di ristrutturarsi nuovamente, scaricando all’occorrenza il peso del suo “buon” funzionamento (perchè è proprio così che funziona) su quelle stesse classi medie che pure dal suo sviluppo hanno tratto i maggiori benefici.

Al momento storico di “reflusso” si sovrappone uno “scollamento” generale. Del popolo dalle strutture “rappresentative”, degli interessi della piccola borghesia da quelli della super èlite, delle periferie dal centro. Rimanendo in ambito europeo, il super stato “monstre” Unione Europea getta la maschera di antidoto alla guerra da nobel, e lo fa tutti i giorni. Quando stritola il popolo greco in nome dell’unità e stabilità, copertura di precisi interessi capitalistici che a volte coincidono con quelli del dirigismo franco-tedesco. Quando le sue “sovra-leggi” violano le pur pallide garanzie ai diritti sociali previste dalle costituzioni di ogni paese dell’unione, e il vincolo di bilancio diventa il contratto capestro col quale garantirsi la membership: una legislazione oppressiva dei popoli, i quali non sono stati coinvolti nemmeno nel vuoto rituale del voto. Una forma istituzionale federata che serve soltanto ad una miglior competizione del capitale europeo nel mercato globale, ma che riserva la “guerra civile a bassa intensità” al proprio popolo. L’effetto combinato della disillusione europea e del crescente distacco dal sistema dei partiti fa evidentemente riaffiorare in seno al popolo-elettore tendenze populistiche, nazionalistiche, in ultima analisti revanchiste e piccolo-borghesi. Sebbene possano essere gravide di elementi di rottura, l’esito più plausibile è l’instaurarsi di èlite se possibile ancor più feroci, nella riedizione delle “rivoluzioni” che, nate per “mondare” lo stato e renderlo forte assieme al suo popolo, portarono alle dittature, non certo a stati egalitari.

Cosa augurarsi, a cosa lavorare, dunque?

Per noi il parziale allentamento della presa delle istituzioni sulla vita dei cittadini, la crescente sfiducia nella capacità di queste di poter risolvere i problemi della gente, la spinta ad orientarsi verso soluzioni sempre più “geograficamente contenute” (che ha il nazionalismo quale lato negativo, la decrescita o altri simili teorie di riconversione in quello positivo) sia un’opportunità.

Ci aspetta la duplice battaglia di spingere fino in fondo queste tendenze, e di farlo con la cosapevolezza che a questa “disarticolazione” dello stato (peraltro ancora a stadi molto embrionali) possa portare ad un accentramento perfino aumentato, ma lavorando affinchè risultino invece in un accesso maggiore delle partecipazione diretta e popolare ai meccanismi decisionali, ad ipotesi di “riconversione” di uno sviluppo economico bulimico e suicida, oltre che fondato sullo sfruttamento.

In Italia è evidente l’ascesa (e no, noi non diciamo “finalmente”, perchè sicuri che siamo in guai ancora più grossi) di una destra “europea”, “moderna” che sta erodendo la presa  della destra populista e postafascista che ha governato il nostro paese negli ultimi vent’anni.

Una destra che occupa tutto l’arco partitico, presentandosi al tempo stesso come “destra”,“centro” e “centrosinistra”, sbandierando un programma che è una ridicola calcomania delle mire dei peggiori falchi liberisti al comando nella “fortezza europa”.

Saranno persino più implacabili nel difendere gli interessi del capitale, ma forse quantomeno semplificano il quadro: non esiste nessuna destra e sinistra (parlamentare) ma solo capitale e lavoro, sfruttatori e sfruttati, a vari livelli.                                                           In più possiamo ora annoverare nel mucchio la grossa flaccida “valvola di sfogo” del partito “antisistema” che ne riproduce le peggiori dinamiche ed è funzionale alla sua sostanziale conservazione.

Solo nella progressiva disarticolazione di ogni forma di istituzione e nella autogestione popolare, nella presa in carico diretta da parte del popolo del potere di decidere sulla propria esistenza, in un processo di crescente sostituzione ai “delegati” si può costruire una forma realmente alternativa di società, insuscettibile di regredire senza combattere o di dare il suo consenso all’ascesa di una nuova èlite di sfruttatori. In quest’ottica, non solo ogni affermazione parziale di potere diffuso è benvenuta perchè migliorativa della situazione attuale, ma non è pensabile che si ottenga senza un programma generale di appropriazione del potere decisionale da parte del popolo. Se non si punta in alto non si vince niente.

La nostra risposta pertanto sta nella ripresa e continuazione delle lotte, non intese come singoli, sporadici episodi di insurrezione, ma come “palestra” popolare all’abitudine ad autorganizzarsi, a saper riconoscere i propri bisogni autentici e a comprenderne ostacoli e via d’uscita collettiva, unica premessa efficace alla “saldatura” di tutte le lotte, per un cambiamento reale delle condizioni materiali e spirituali di esistenza.

Malatesta diceva che il programma rivoluzionario non deve essere altro che la vittoria finale, che i compagni non devono illudere il popolo: ogni vittoria parziale semplicemente non è una vittoria.                                                                                                                               E che non per questo però si deve rinunciare a lottare su tutti quegli obiettivi che possono migliorare immediatamente le condizioni materiali del popolo, e soprattutto “allenarne” la capacità di lottare, oggi per un obiettivo piccolo, domani per la liberazione totale.

La nostra scelta politica va quindi nella direzione di promuovere le cosiddette “lotte sociali”, ribadendo il rifiuto di una distinzione fra “sociale” e “politico” che ha valore solo in funzione di un punto di vista elettoralistico, dirigista, conservativo. Per noi ogni lotta “sociale” è immediatamente politica quando è in grado di pensarsi come parte minima di un progetto di cambiamento complessivo, quando è in grado di individuare i propri ostacoli e nemici, quando è in grado di comunicare ai propri simili tutto questo, e costituire un esempio.

La “disgregazione” in atto a livello generale si ripercuote nei luoghi dove viviamo e vivono gli ultimi anelli della catena alimentare capitalistica: i quartieri. L’emergenza abitativa, salariale, la speculazione estrema, l’abbandono, l’emarginazione, l’abbattimento di ogni forma di vita collettiva e della diffusione di qualsiasi strumento culturale ed intellettuale trova nelle periferie la più alta intensità di violenza sommersa. I suoi abitanti sono pertanto i più oggettivamente esposti e quindi potenzialmente in grado di portare il riconoscimento di questa violenza subita alle sue conseguenze più estreme: il rovesciamento del sistema, a partire dai suoi gangli più capillari e pervasivi.

Pensiamo dunque che le “lotte sociali” nei quartieri siano uno dei fronti principali della lotta e questo anche a partire dalle nostre stesse condizioni materiali, nella convinzione che la militanza rivoluzionaria debba essere anzitutto liberazione personale.                                      I quartieri quindi, perchè è il posto in cui viviamo, condividendo gran parte dei bisogni e degli “handicap” di classe che i suoi abitanti si ritrovano, anche se non tutti, ovviamente.

Chiariamo brevemente quale significato ha nel documento il termine “rivoluzione” e l’aggettivo “rivoluzionario” nelle righe che seguono.                                                               Stante il panorama di parziale disarticolazione dello Stato sopra accennata, ma anche dell’impossibilità a breve di uno “scontro frontale” fra classi, crediamo che il gradualismo non sia affatto revisionista, ma anzi una necessità tattica e una scelta strategica. Concordiamo con Colin Ward nel suo giudizio sulla sconfitta dell’idea, e della pratica, di rivoluzione come ipotesi insurrezionale.: “La rivoluzione non dev’essere un momento insurrezionale con cui prendere il potere, situato in alto, e modificare la società. Rivoluzione dev’essere invece allargare dal basso le esperienze autogestionarie, contropotere, fino a farle diventare la “società” tutta, la cui gestione dall’alto sarà poi svuotata di significato dal cambiamento strutturale della società stessa.”             Redarguendo però dal pericolo di un immobilismo dettato dall’attesa spasmodica dell”orizzonte rosso”: “Ogni generazione deve porsi un obiettivo rivoluzionario da essa raggiungibile, non infinitamente distante, fino a diventare utopico.”

Militanti di quartiere- Membri del collettivo del Centro Territoriale Giovanile, Centro di Cultura Popolare.

Quartiere S.Eusebio, Cinisello Balsamo

(Il documento non rappresenta l’opionione del collettivo del centro di cultura popolare, quanto una libera elaborazione di alcuni suoi militanti)

Questa voce è stata pubblicata in Lotte, Politica e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento